La lettera dell'Arcilesbica al PD

In [0] abbiamo letto la lettera al PD dell’Arcilesbica, che ci ha molto sgomentato.

Innanzitutto, osserviamo che l’Arcilesbica è ormai un’associazione con circa 600 iscritte su una popolazione di 31 milioni 144 mila donne [1] – se valessero anche per l’Italia di oggi i dati del sito [2], secondo cui l’1,3% delle donne americane nel 2016 si definiva lesbica, ed il 5,5% bisessuale, l’Arcilesbica dovrebbe aspirare ad avere oltre 2 milioni 117 mila iscritte (bisessuali comprese, ovviamente). Queste cifre certificano un fallimento politico di portata cosmica.

Nel merito, riteniamo opportuno osservare che la locuzione “con un netto no (…) alla medicalizzazione tossica del corpo femminile fecondo” può applicarsi a qualsiasi tecnica di fecondazione extracorporea, in quanto per ora essa esige la stimolazione ormonale della donna donatrice al fine di estrarle ovuli da fecondare. Questo significa che la lettera non vuole soltanto impedire che una donna porti avanti una gravidanza per un’altra persona, ma anche che possa portare in grembo un figlio proprio fecondato esternamente a lei, per esempio con la FIVET, oppure donare ovuli per fecondare donne sterili.

Non si vuole soltanto ricorrere a “provvedimenti dissuasivi” (sui quali torneremo) contro la gestazione per altri – si vogliono proibire terapie ora legittime e che hanno permesso a molte donne di diventare madri.

Riteniamo che debba essere consentito dalla legge ad una donna di generare un figlio per altre persone; a che condizioni, e se sia opportuno pagarla, è materia di dibattito interessante, ma prima si toglie l’attentato al diritto delle donne di ricorrere alla FIVET, poi ne riparliamo.

Sulle misure restrittive, siamo mostruosamente scettici. Presidente e vicepresidente di Lieviti hanno avuto modo di scoprire che le agenzie israeliane di GPA chiedevano circa 35 mila dollari nel 2015 per un figlio da generarsi in Messico, e l’anno dopo un’agenzia italiana esigeva 120 mila Euro per un figlio da generarsi in California. Non era nostra intenzione fare niente del genere, ma solo appagare la nostra curiosità, ricevendo però conferma che la Legge 40/2004 ha avuto un effetto proibizionistico: ha solo aumentato il denaro che una coppia deve sborsare per avere dei figli.

Tutti i genitori sanno che per i figli si fa qualsiasi cosa, quindi nessun “provvedimento dissuasivo” contro i genitori funzionerebbe – gli unici provvedimenti efficaci sarebbero contro i figli della GPA, che verrebbero chiamati a pagare colpe non loro. E la lettera, con la frase: “Taluni fra coloro che hanno fatto uso della gpa rivendicano questa pratica facendosi scudo del cosiddetto migliore interesse del minore da essi commissionato”, fa pensare che questa sia la direzione suggerita al legislatore – che dovrebbe impedire ai giudici di tener conto del supremo interesse del minore in questi casi.

Abbiamo faticato parecchio a liberarci dalla concezione secondo cui i figli della colpa la pagano per i loro genitori, in modo da terrorizzarli e dissuaderli dal compierla, non vogliamo ricominciare daccapo. Né vogliamo nuovamente demandare alla Corte Costituzionale il compito di fare a pezzi una legge della cui mancanza assoluta di eticità il Parlamento non si era reso conto.

Per quanto riguarda l’assistenza sessuale alle persone con dis/abilità, [3] spiega caratteristiche e limiti dell’intervento. Tornando alla lettera, siamo dell’opinione che il “sex work” sia un lavoro come un altro, e che lo stigma che lo accompagna, lungi dallo scoraggiare i clienti (e le clienti – ci sono anche loro, seppure in numero inferiore), metta in pericolo l’incolumità dei/delle “sex workers”, e li/le esponga a ricatti di ogni tipo.

La tratta di esseri umani va combattuta, ma nuoce a questo sforzo confondere le sue vittime con coloro che invece il “sex work” lo fanno per scelta, anche sempre più ristretta dalla crisi economica e dalle discriminazioni che subiscono le donne e le minoranze – sessuali e non. La lettera non chiede di aumentare le libertà di cui godono le donne e le minoranze sessuali, ma di comprimerle.

Quindi … paragonare l’assistenza sessuale alla prostituzione non ci scandalizza per niente. La frase: “Tuttavia non esiste il diritto al rapporto sessuale perché quest'ultimo non è un bene che possa venire dispensato dallo Stato” mostra una grande ingenuità. Esiste il diritto a formare una famiglia, ma questo non significa che sia lo stato a dover dotare ogni persona di un partner – semmai, proprio perché esiste questo diritto, lo stato deve evitare di porre ostacoli a formare codesta famiglia. Ovvero, i divieti matrimoniali debbono essere motivati da chiare ragioni di ordine pubblico.

Stabilire che “non esiste il diritto al rapporto sessuale” significa innanzitutto dare piena libertà al legislatore di porre divieti arbitrari alla possibilità di consumarlo. Si potrebbe così creare la situazione per cui alcune persone possono contrarre matrimonio od unione civile, ma se la consumano commettono un reato, senza che la Corte Costituzionale possa stroncare l’evidente illogicità.

Il diritto al rapporto sessuale, se esplicitamente affermato, non significherebbe che chiunque deve acconsentire a qualsiasi cosa chiesta da qualsiasi persona – allo stesso modo in cui il diritto al lavoro, già esplicitamente affermato, non significa che i datori di lavoro siano obbligati ad assumere chiunque si proponga loro, e per il ruolo che desidera.

Ci è oltretutto parso di pessimo gusto intervenire sull’argomento prendendo ad esempio la situazione delle persone con dis/abilità: la maggior parte di coloro che ricorrerebbero all’assistente sessuale attualmente non hanno altra possibilità che farsi masturbare dalla mamma – e magari non sono nemmeno in grado di votare. L’esperienza americana e coloniale ci insegna che sono molto sospette le proposte a danno di persone che non hanno la possibilità di vendicarsi al seggio.

L’ultimo punto, il divieto di trattamenti medico-chirurgici nei “minori presunti transgender”, frettolosamente confusi con i “minori dal comportamento non conforme alle aspettative di genere”, mostra l’assoluta incomprensione di questi due fenomeni. I trattamenti normalmente prescritti in questi casi servono a bloccare la pubertà, in modo da dare al/la minore il tempo di sviluppare la propria identità di genere e raggiungere un’età in cui possa decidere in che direzione far evolvere il proprio corpo.

Bambini transgender ne conosciamo – e quasi tutte le persone trans dicono che avrebbero voluto transizionare il prima possibile. Quando ci si chiede se somministrare codesti trattamenti a questi bambini, essi hanno di solito mostrato un’identificazione con il genere di destinazione durata anni, che non si esprime semplicemente nel vestirsi o comportarsi in modo non conforme al genere, e non bloccare la pubertà significa condannare il bambino/la bambina, una volta maggiorenne, a dover subire interventi ben più demolitivi del necessario. Il blocco della pubertà serve a guadagnar tempo finché il bambino/la bambina non è abbastanza maturo/a, anche legalmente, da prendere la decisione da solo.

Voler impedire a priori questo trattamento significa negare l’autodeterminazione delle persone, anzi, trattare questi casi come capricci. Questo nuoce all’equilibrio psichico del minore come e più del vedersi rimandare la transizione, e scredita anche le persone trans adulte, sulle quali rimarrà sempre l’ombra di aver agito per immaturità e non per necessità.

In molti paesi era comune stabilire diverse età del consenso per i rapporti eterosessuali e quelli omosessuali, ma poi ci si è resi conto che questo significava affermare che i rapporti eterosessuali erano una cosa naturale, quelli omosessuali una cosa che richiedeva più ponderazione – il citato DDL Cirinnà-Lo Giudice voleva rimediare, per quanto possibile, alla disparità tra le persone cisgender (che fin dalla nascita vivono quello che sono, e nessuno lo mette in dubbio) e quelle transgender (che devono attendere anni per farlo, e devono passare la vita a confutare i dubbi dei loro interlocutori).

Ci pare strano che le autrici della lettera non si siano rese conto dell’analogia tra le due situazioni (la discriminazione per orientamento sessuale e quella per identità di genere). La lettera dimostra quanto devono lavorare ancora le persone trans.

Aggiunta del 16.01.2018: L'articolo [4] parla di una delle accuse che si sentono spesso rivolgere i genitori arcobaleno, o di figli arcobaleno: di nuocere ai loro figli, oppure di aver loro nuociuto, visto che sono "cresciuti" omosessuali, bisessuali o trans.

Sergio Lo Giudice non ha solo proposto di consentire ai minori transgender di ricevere trattamenti medico-chirurgici, ma anche di vietare le "terapie riparative" a danno dei minori. L'attacco a Lo Giudice per la prima proposta di legge non si è accompagnato ad un elogio per la seconda, e ci dobbiamo chiedere il perché.

Le persone che attaccano i genitori che consentono ai loro figli di prepararsi alla transizione li accusano di maltrattare i loro figli, ed Arcilesbica, dichiarando che gli interventi medico-chirurgici sui minori transgender sono "falsi diritti", e confondendo le persone "transgender" con quelle di "genere non conforme", dà ragione agli accusatori ed alla loro ignoranza.

E non ha detto una parola per difendere i minori vittime delle "terapie riparative", volte ad impedire ai minori di essere quello che sono, e che sono un vero e proprio certificato abuso.

Raffaele Yona Ladu
Vicepresidente di Lieviti

Note: